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METEO GIORNALE
  • Papabili alla successione di Papa Francesco: chi sono e perché cambiano nome

    Papa Francesco si è spento il 21 aprile 2025, lasciando vacante il soglio pontificio e dando il via a un periodo di grande fermento all'interno della Chiesa cattolica. Il conclave, previsto per maggio, vedrà riuniti i cardinali di tutto il mondo per eleggere il nuovo pontefice. In questa fase storica carica di attese, emergono alcuni nomi considerati "papabili", personalità di rilievo che incarnano diverse visioni per il futuro della Santa Sede.

    I principali candidati alla successione di Papa Francesco

    Tra i cardinali, spicca Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, figura di grande esperienza diplomatica, con quasi settant'anni e una carriera caratterizzata da successi nelle relazioni internazionali, in particolare in Asia e in Medio Oriente. La sua capacità di gestire i complessi rapporti con la Cina lo rende un candidato fortemente credibile. Un altro nome italiano in evidenza è quello di Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, 69 anni, esponente della Comunità di Sant’Egidio. Il suo impegno nella mediazione dei conflitti, come dimostrato durante la crisi in Burundi, e la sensibilità verso i temi sociali lo pongono come figura di rinnovamento, attenta ai giovani e agli emarginati. Dal Medio Oriente arriva invece la candidatura di Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, sessantenne, noto per il suo incessante lavoro di dialogo interreligioso tra palestinesi e israeliani, un tratto che potrebbe attrarre chi spera in una Chiesa più impegnata per la pace globale. Al di fuori dell'Italia emergono personalità come Anders Arborelius dalla Svezia, sostenitore dei diritti dei rifugiati, Reinhard Marx dalla Germania, noto per il suo impegno nella lotta contro gli abusi, e Juan José Omella dalla Spagna, anch’egli figura di grande peso nella difesa della giustizia sociale. In un contesto segnato da scandali e richieste di riforma interna, il prossimo papa dovrà affrontare questioni spinose come la trasparenza nella gestione ecclesiastica, il dialogo interreligioso e la salvaguardia dell’ambiente.

    Come funziona il conclave per scegliere il nuovo papa

    Il conclave, che si svolge nella suggestiva cornice della Cappella Sistina in Vaticano, segue regole antiche che combinano spiritualità e strategia politica. I cardinali elettori, segregati dal mondo esterno, votano a scrutinio segreto fino a raggiungere una maggioranza qualificata nelle prime votazioni; successivamente può bastare una semplice maggioranza. Le dinamiche interne al conclave, fatte di alleanze e rivalità, rispecchiano le tensioni e le aspirazioni della Chiesa contemporanea. Ogni candidatura è il risultato di una combinazione di reputazione personale, orientamento teologico e capacità di ispirare fiducia in un futuro incerto.

    Perché il nuovo papa cambia nome

    Una volta eletto, il nuovo pontefice adotta un nome diverso dal proprio, una tradizione che ha origine intorno al X secolo. Questo gesto, profondamente simbolico, rappresenta l'inizio di una nuova missione spirituale. Il nome scelto può rendere omaggio a santi, predecessori o ideali che il nuovo papa intende incarnare. Quando Jorge Mario Bergoglio scelse il nome di Francesco, intese richiamare l'umiltà e l'impegno per i poveri di San Francesco d’Assisi. Anche le scelte precedenti, come quella di Giovanni Paolo II, testimoniano l’intenzione di evocare continuità e speranza in tempi di cambiamento. In un'epoca in cui temi come la giustizia sociale e la sostenibilità ambientale sono sempre più centrali, il nome del prossimo papa avrà un significato ancora più forte come promessa di rinnovamento. Il nome pontificio diventa così un manifesto programmatico, capace di indicare la rotta della Chiesa cattolica nell'affrontare le sfide di una comunità globale sempre più complessa e diversificata.
  • Meteo: Estate di inizio Maggio, le regioni più calde

    L'estate potrebbe davvero aprire i battenti con largo anticipo sulla tabella di marcia. Effettivamente, gli ultimi aggiornamenti dei modelli meteo lasciano pochi dubbi riguardo l’arrivo del caldo durante la prossima settimana, quando ci troveremo all’esordio di maggio, ma in questo articolo cercheremo di capire quanto effettivamente potrebbe durare questo periodo più stabile e più caldo del solito.  

    L’alta pressione torna a dominare

    L’alta pressione riprenderà il pieno controllo del nostro Stivale sul finale di aprile, dopo il passaggio dell’ultima perturbazione del mese, attesa tra domenica 27 e lunedì 28 aprile. Questa perturbazione porterà acquazzoni e temporali diffusi su gran parte del centro-sud, soprattutto nelle aree interne della nostra penisola. Dopodiché si apriranno le porte per il ritorno dell’alta pressione, che andrà finalmente a interrompere bruscamente il treno di perturbazioni attivo da settimane.  

    Il caldo prende il sopravvento

    Tutta Italia si ritroverà improvvisamente sotto questa cupola anticiclonica tra il 29 e il 30 aprile, ragion per cui il tempo migliorerà vistosamente in ogni angolo d’Italia ed anche le temperature inizieranno pian piano a salire. Si tratterà dell’alta pressione delle Azzorre in questa circostanza, ma all’avvio di maggio questo anticiclone potrebbe assumere connotati nordafricani, poiché la radice anticiclonica tenderà pian piano a spostarsi verso est, ancorandosi sul Nordafrica.   Ciò significa che l’alta pressione verrà progressivamente alimentata da correnti calde provenienti da sud, le quali faranno letteralmente impennare le temperature su tutta Italia. Ed ecco che per la festa dei lavoratori, ovvero giovedì 1 maggio, le temperature diverranno simili estive su gran parte d’Italia.   Tra il 1 e il 2 maggio, le temperature massime potrebbero sfiorare i 27 o 28 °C dalla Val Padana all’estremo sud, soprattutto su Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto, Sardegna, Toscana e Sicilia. Non escludiamo anche qualche picco di 30 °C, come se ci trovassimo già nel mese di giugno.  

    Quanto durerà questa fase calda?

    Tuttavia, questo periodo più caldo e più stabile potrebbe non durare a lungo, in quanto già dal 4 o dal 5 maggio, l’alta pressione potrebbe nuovamente indietreggiare, lasciando spazio a correnti più fresche provenienti dal Nord Europa. Ma di questo riparleremo più approfonditamente nei prossimi aggiornamenti meteo.
  • ESTATE 2025, sempre più timori di quel CALDO micidiale

    Il meteo estremo e il cambiamento climatico sono ormai una realtà che colpisce duramente il Centro Sud Italia, con particolare riferimento alla Sardegna e alla Sicilia, dove il caldo estivo raggiunge valori che sfidano i record climatici europei e competono addirittura con il Nord Africa. Queste regioni presentano infatti una notevole vulnerabilità dovuta a diversi fattori, tra cui la vicinanza al continente africano, la presenza frequente di sistemi di alta pressione con geopotenziali estremamente elevati e suoli resi aridi da settimane di esposizione solare intensa.   Un esempio significativo è il famoso record europeo certificato dalla World Meteorological Organization (WMO), organismo delle Nazioni Unite responsabile della meteorologia mondiale, che ha confermato la temperatura di 48,8°C rilevata l’11 agosto 2021 a Floridia, vicino a Siracusa. Questo record, finora ineguagliato in Europa, ha superato i precedenti primati e segna un punto di riferimento importante per comprendere la gravità degli eventi meteo estremi che stanno diventando sempre più frequenti.   Tuttavia, anche nel 2023 la Sardegna ha visto picchi termici impressionanti, raggiungendo i 48,2°C a Jerzu e Lotzorai nel mese di luglio. Si tratta del record assoluto di caldo mai registrato in questa regione, superando nettamente gli storici 47°C che nel luglio 1983 furono misurati a Sanluri e Perdasdefogu. Nello stesso giorno, quasi tutta l’isola sarda ha vissuto condizioni climatiche simili, con molte località che hanno abbondantemente superato i 40°C, come i 47,4°C registrati presso la stazione meteorologica dell’Aeronautica Militare di Olbia, situata ad appena 13 metri di quota. Valori termici simili hanno interessato altre aree come la stazione ARPAS di Tortolì con 47,3°C e Bari Sardo ARPAS con 47,2°C. Nell’entroterra, specialmente nella zona del Campidano e del Logudoro, a sud di Macomer, si sono diffuse massime termiche superiori ai 45°C, definibili chiaramente come temperature desertiche.   Questi eventi estremi sono paragonabili, almeno per intensità, all’eccezionale ondata di caldo che colpì il Paese nell’estate del 1983, segnando profondamente il territorio e la popolazione.   È interessante notare che, se simili condizioni meteo fossero avvenute nel Sud della Spagna o in Grecia, vicino ad Atene, è plausibile ipotizzare che le temperature avrebbero superato la soglia critica dei 50°C, battendo i loro precedenti record nazionali ed europei. La posizione geografica dell’Italia meridionale la espone particolarmente all’influenza africana; tuttavia, i record assoluti registrati nel continente africano sono ben superiori ai 50°C, sebbene la scarsità di dati ufficiali renda difficile un confronto diretto e preciso.   Il record mondiale assoluto di temperatura certificato dalla WMO rimane quello di 56,7°C, registrato il 10 luglio 1913 presso Furnace Creek Ranch nella Death Valley, negli Stati Uniti. Precedentemente, un valore di 57,8°C rilevato ad Al-'Aziziyah in Libia, il 13 settembre 1922, fu invalidato dalla stessa organizzazione per errori nella misurazione.   Nonostante i miglioramenti nella rete di stazioni meteo che permettono oggi di registrare più facilmente i record termici, ciò non altera la percezione e la realtà del riscaldamento globale, confermata non solo dalle migliaia di rilevazioni scientifiche, ma anche dagli effetti evidenti sulla natura, come il preoccupante e continuo ritiro dei ghiacciai alpini.   Anche altre zone dell’Italia, come le grandi aree urbane di Roma e Firenze, dimostrano una crescente vulnerabilità alle ondate di calore, spesso superando temperature soglia di 40°C. Nelle città si manifesta un fenomeno noto come isola di calore urbana, caratterizzato dall'accumulo e rilascio lento di calore notturno, che mantiene elevate le temperature anche dopo il tramonto, esponendo ulteriormente la popolazione a stress termico prolungato.   In conclusione, gli eventi meteo estremi registrati negli ultimi anni, soprattutto nel Centro Sud Italia, ribadiscono l’urgenza di affrontare con misure adeguate l’adattamento e la mitigazione degli effetti negativi delle ondate di calore estive, poiché la frequenza e intensità di tali eventi sono destinate ad aumentare significativamente in futuro.   CREDIT: World Meteorological Organization, National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), National Aeronautics and Space Administration (NASA).

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Quello che i modelli non dicono

GFS, il principale modello previsionaleAl giorno d’oggi, nell’era dei computer sempre più potenti e dell’ipertecnologica macchina delle previsioni del tempo, fatta di centinaia di processori che lavorano in parallelo per offrire il risultato di calcoli complessi in tempo utile per essere pubblicato sui giornali, vale la pena ricordare i limiti intrinseci di queste metodologie. Limiti teorici per cui ormai siamo sicuri che il sogno lagrangiano di predire l’esatto futuro di una particella nello spazio e per qualsivoglia tempo è di fatto irrealizzabile.

Per restare nell’ambito di casi a noi particolarmente vicini, consideriamo le previsioni del tempo fatte alle medie latitudini, e nello specifico le previsioni del flusso a 500mb; nell’arco temporale di 48 ore sappiamo che per la predizione di questa variabile possiamo trascurare il riscaldamento diabatico e la dissipazione per attrito. Rimane però fondamentale avere dei dati molto precisi sul trasporto del campo iniziale di vorticità, in quanto il flusso a 500mb risulta molto dipendente da questa ultima variabile. Se cominciamo a desiderare previsioni superiori ai 2 giorni, ecco che altre variabili diventano fondamentali, ad esempio le sorgenti ed i pozzi di momento e di energia presenti non solo nella zona considerata ma anche in quelle immediatamente vicine. Andando sempre più avanti nel tempo, avremmo bisogno di dati su tutto il globo e a tutte le quote, ed anche di dati provenienti da tutti gli strati oceanici, così come dimostrato da Smagorinsky nel 1967.

Se anche la nostra rete di rilevatori fosse molto fitta, diciamo un rilevatore ogni metro, su tutta la superficie terrestre, lungo tutta la colonna troposferica e lungo tutta la colonna oceanica, le previsioni di natura modellistica non potrebbero spingersi più in là di 10-12 giorni. Come mai?

 

Ormai non è un mistero che i flussi atmosferici di quantità quali temperatura, momento, umidità, ecc. avvengano all’interno di un sistema dinamico di natura caotica, che ben lungi dall’indicare che le cose avvengono a caso, significa essenzialmente che piccole variazioni di quantità in un punto o in un preciso istante, possono avere ripercussioni anche notevoli a distanza di poco tempo (o di poco spazio). Limitandoci ad una spiegazione semplice, bisogna immaginare che l’atmosfera è un continuo di moti che avvengono a tutte le scale, e l’energia proveniente dal sole, ed in minima parte dall’interno del pianeta, si distribuisce in cascata a tutte queste scale, che sono infinite, dando origine ai flussi di aria transcontinentali, così come al venticello che spazza le nostre strade. I modelli, per quanto abbiano una griglia fitta, non potranno mai simulare infiniti volumi di massa in cui avvengono i moti; così, se tra un punto della griglia ed il successivo avvengono dei moti a scala ancora più piccola, ecco che il modello si allontana dalla realtà, e quella piccola perturbazione potrà dare a luogo a fenomeni meteorologici anche su scale più grandi (o più piccole).

D’altro canto, siccome i modelli si basano su calcoli numerici, anche l’errore di arrotondamento dei valori della quantità meteorologiche può crescere e far divergere i risultati a distanza di poco. Un esempio eloquente di questo discorso fu fornito da Lorenz nel 1984: considerato un sistema molto semplice, ben lungi dalle equazioni di Navier-Stokes, si dimostra che gli stati di questo sistema nel tempo dipendono fortemente da piccole perturbazioni iniziali. Nello specifico, consideriamo il sistema

Ys+1 = aYs - Ys2

Questa equazione descrive semplicemente un sistema il cui stato Y all’intervallo di tempo successivo (s+1) dipende dallo stato Y al tempo attuale s. L’evoluzione di questo sistema è ben definita se fissiamo il valore di Y allo stato iniziale (Y0) e il valore della variabile a.

Se poniamo su un grafico l’andamento di Y nel tempo, e successivamente cambiamo leggermente il valore di a, mantenendo costante quello di Y0, cioè se in pratica “riavvolgiamo” il tempo e facciamo ripartire l’evoluzione del sistema con una piccola perturbazione, ecco che, già dopo pochissimi passi temporali, i due grafici non si somigliano più e assumono via via valori sempre più discostanti, come possiamo vedere chiaramente dalla figura. Immaginiamo allora cosa può succedere all’interno di sistemi (come quelli atmosferici) con leggi più complesse e con continue perturbazioni da parte delle condizioni circostanti.

E’ evidente che questo genere di comportamento non dipende affatto da quanto siano capaci o moderni i computer con cui si fanno le previsioni. A qualsiasi livello di precisione, esisterà sempre una cifra arrotondata e quindi una perturbazione, così come nel sistema atmosferico reale esisteranno sempre dei moti a scale più piccole di quelle che i nostri modelli potranno simulare.

Un altro problema significativo nell’uso dei modelli di previsione, sta nel fatto che tuttora non si riescono a raggiungere nemmeno i limiti teorici imposti dalle leggi di natura caotica a cui si accennava precedentemente. Le previsioni con alto grado di confidenza a 10-12 giorni sono tuttora un miraggio e questo è dovuto a diversi fattori: cattiva qualità dei dati rilevati dalla rete globale di centraline, disomogeneità nella diffusione geografica delle stesse, risoluzione del modello inadeguata e insufficiente rappresentazione dei fenomeni fisici complessi come i processi radiativi, la formazione di nubi, il trasporto repentino di massa ed energia all’interno di forti convezioni ecc.

Infatti spesso nei modelli non è possibile risolvere tutte le equazioni alle derivate parziali di cui il sistema atmosferico è zeppo; spesso per problemi di tempi di calcolo si ricorre a parametrizzazioni più o meno approssimate, tagliando via processi e quindi perturbando maggiormente il sistema di quanto possa farlo un errore di arrotondamento delle cifre.

Con queste premesse risulta chiaro che un totale affidamento ai risultati dei modelli di previsione risulta un errore, ma allo stesso tempo essi sono l’unica arma, in alcuni casi molto efficace, che abbiamo per strappare alla natura informazioni utili non solo per predire il futuro delle condizioni meteorologiche, ma anche per comprendere fenomeni che risulterebbero troppo complessi per essere affrontati da un punto di vista analitico.

 


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